La storia del sigaro si confonde con quella del tabacco.
Sembra che la prima raffigurazione di un uomo che fuma, appaia in un rilievo del tempio Maya di Palenque, in Messico. Dovrebbe risalire all’epoca più gloriosa della civiltà Maya, fra il Trecento e il Novecento dopo Cristo.
L’uomo, si pensa un sacerdote, aspira fumo da un lungo tubo.
Forse una pipa, forse un rotolo di foglie di tabacco, un sigaro.
È agli indiani Tainos che si deve il nome di questa pianta, cohiba, particolarmente apprezzata in occasione delle grandi adunanze rituali. Allora veniva consumata sotto forma di foglie essiccate ed intrecciate, introdotte in una sorta di calumet chiamato tabaco, che si passava di mano in mano in segno di fratellanza e condivisione: un sacerdote, detto behike, sovraintendeva alla funzione ed offriva alle divinità i fumi sprigionati dalla combustione.
Nel 1492 il Vecchio Mondo, grazie a Cristoforo Colombo, fa la conoscenza di questa pianta, introdotta in Francia molto più tardi, nel 1556, dal monaco cordigliere Andrè Thevet. La Spagna e il Portogallo furono i primi rotori di un commercio che ben presto conquisterà il resto d’Europa. A quell’epoca, però, l’impiego del tabacco era ancora strettamente medicinale: gli si attribuivano in particolare virtù purificanti, lenitive, decongestionanti, e si utilizzava in inalazione, fumigazione e decozione. Si dice che Caterina de’ Medici, rifornita dal console di Francia Jean Nicot (da cui prese il nome la nicotina), ne facesse grande uso per trovare sollievo dalle sue emicranie.
Più tardi si diffonde il sigaro, prima in Spagna e in Portogallo. In principio fumavano soltanto ricchi e aristocratici. Posizione sociale e potere si misurano con la lunghezza del sigaro. L’interesse cresce rapidamente soprattutto in Spagna, la domanda aumenta. Le coltivazioni nelle colonie danno risultati sempre migliori, specialmente a Cuba.
Dalla seconda metà del Cinquecento la coltivazione del tabacco viene organizzata, con la spinta europea, e le piantagioni si estendono in Nord America, nelle Antille e a Cuba. Il commercio di quella che veniva chiamata la pianta miracolosa tocca l’isola di Malta, l’Italia, i Paesi Bassi, e poi Turchia, Marocco ed infine anche Giappone, con coltivazioni su larga scala.
I sigari giungono in Italia nel ‘600, grazie agli spagnoli che frequentavano Milano e Napoli. Le prime manifatture risalgono al secolo successivo. Nel 1717 la Spagna impone il monopolio sul tabacco cubano e fa di Siviglia la capitale del sigaro.
Altro veicolo di diffusione sono i marinai americani. Barili di sigari sono a disposizione dei clienti nelle osterie dei porti. Il sigaro è usato come moneta, mezzo di scambio.
È ancora una volta l’Inghilterra a fare un passo avanti nella distribuzione del prodotto, fino allora riservato all’aristocrazia e ai marinai. La regina Elisabetta I ne incoraggia l’impiego: Virginia, Carolina, Maryland e Kentucky si specializzano nella sua coltivazione.
Nella prima metà del ‘600, in Connecticut si comincia a coltivare tabacco. Terreno e clima sono idonee alla coltivazione. Le foglie sembrano buone, corpose, ma i sigari sono ordinari, di poco pregio. Nella seconda metà del ‘700, gli Stati Uniti conoscono i sigari cubani grazie a una spedizione inglese a Cuba. Ma i semi piantati non danno i risultati sperati. Ormai è chiaro, il tabacco migliore è quello cubano, coltivato sull’isola. Nel 1810 gli Stati Uniti importano da Cuba cinque milioni di sigari.
L’Ottocento è il secolo del sigaro. Manifatture sorgono anche in Francia, in Germania. Le importazioni crescono. Oltre a Cuba, esportano molto il Brasile e le Filippine.
Il sigaro deve la sua notorietà soprattutto ai grandi di Spagna, e la sua ascesa nel corso del XIX secolo è assicurata dall’atteggiamento britannico, ma il vero trionfo giunge nella seconda metà del ‘900.
La professionalità delle manifatture, la cura della presentazione, la comparsa delle fascette, si coniugano per elaborare un’immagine raffinata ed edonista. Con questo successo si diversificano i formati, le vitole, e nascono e diventano sempre più famose le marche che ancora oggi caratterizzano il mercato.
Il tabacco usato per i sigari viene coltivato in quantità significative in nazioni come il Brasile, il Camerun, Cuba, la Repubblica Domenicana, Honduras, Indonesia, Messico, Nicaragua e negli Stati Uniti. In Europa sono considerate di buon livello le manifatture dei Paesi Bassi e della Germania, ma anche l’Italia, con i suoi vari tipi di sigari toscani.